Laboratorio di Preghiera Ignaziana
Novembre 30, 2024…Per una lettura biblica oltre lo steccato: non fuori dall’ovile, ma di certo fuori dai recinti!
Dicembre 7, 2024Speranza ha a che fare con Desiderio
Nel dizionario Treccani la parola “speranza” è descritta in questi termini: “Sentimento di aspettazione fiduciosa nella realizzazione, presente o futura, di quanto si desidera” (Da: https://www.treccani.it/vocabolario/speranza/).
In questa definizione c’è un rimando a “quanto si desidera”: la speranza non è mai solo per se stessa, ma è protesa verso l’oggetto sperato. Il compimento della speranza è proprio il raggiungimento di quell’oggetto al quale anela e tende la speranza stessa. In altre parole, speranza ha a che fare con desiderio. Non c’è l’una senza l’altra.
Esiste una etimologia dichiarata che leghi la speranza con il desiderio?
Il Grande Lessico del Nuovo Testamento spiega che “la radice elp (che è a fondamento della parola greca “elpis”, che significa appunto speranza in greco) rappresenta un ampliamento della radice vel mediante p; pure anche il latino volup (voluptas) gr. alp- in epalpnos, desiderato, …” (da: GLNT III, 510, nota 7). Dunque sì, anche dal punto di vista strettamente etimologico, possiamo affermare che la parola speranza ha nella sua radice il senso stesso del desiderio!
Coltivare la speranza significa, allora, anche custodire il desiderio. Se perdi quest’ultima nella tua vita non può che spegnersi anche la speranza. Una vita senza desiderio è una vita senza speranza. Disperata. Morta. Una non-vita.
Un itinerario biblico. Colui che ebbe fede, sperando contro ogni speranza
In Rm 4,18 a proposito di Abramo San Paolo afferma:
Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza.
San Paolo indica Abramo come esempio di colui che ha saputo sperare contro ogni speranza. Ma cosa vuol dire? Vediamo in breve cosa ha realmente fatto e vissuto Abramo.
a. La fede
Il Signore disse ad Abram:
«Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria
e dalla casa di tuo padre,
verso il paese che io ti indicherò.
Farò di te un grande popolo
e ti benedirò,
renderò grande il tuo nome
e diventerai una benedizione.
3 Benedirò coloro che ti benediranno
e coloro che ti malediranno maledirò
e in te si diranno benedette
tutte le famiglie della terra».(Genesi 12,1-3)
La vicenda di Abramo inizia con un vero salto nel buio. Si è fidato della proposta di Dio. Sì, certamente. Ma come è stato raggiunto da questa proposta? Come l’ha percepita lui? Ê ragionevole pensare che abbia colto la proposta di Dio non tanto come una scelta imposta da qualcuno esterno a sé, ma al contrario come qualcosa di suo personale, di molto intimo e profondo.
Anche a noi capita di cogliere delle mozioni o delle spinte da dentro noi stessi. Ci capita, cioè, di percepire qualcosa in noi al modo di una intuizione, un anelito, un desiderio.
Abramo avrà certamente associato tutto ciò alla presenza di Dio, ma non dimentichiamo che all’epoca Abramo non ancora lo conosceva Dio. Dio stesso è stato per lui la sua prima intuizione non ancora distinta e chiarita del tutto. Il dio di Jhwh nessuno ancora lo conosceva e lui era stato sempre tra gli idoli che – a detta della tradizione rabbinica – suo padre costruiva. Dunque anche Abramo lo avrà percepito presente certamente, ma in modo ancora indistinto, seppure forte.
Nella decisione di Abramo vediamo la sua grande fede, sicuramente, perché si è fidato e affidato a un Dio che non vedeva e che, tuttavia, sentiva. E la speranza allora che c’entra? Lui ha messo in gioco tutto se stesso in forza di questa relazione con Dio, trasformandola l’intuizione originaria in un progetto concreto che ha cambiato la sua vita. Lo ha fatto avendo in cuor suo una speranza: desiderava una terra e una discendenza. Il suo comportamento era orientato a qualcosa di preciso, al raggiungimento “di quanto sperato”, per usare le parole del dizionario Treccani nella sua definizione della speranza.
In effetti, esiste un circolo virtuoso tra fede e speranza, in quanto la speranza si fonda sulla fede, ma è anche vero che quando la fede vacilla si può restare aggrappati alla relazione con Dio almeno in forza di una speranza. Non a caso insieme all’amore rappresentano le tre virtù teologali, ovvero quelle virtù che hanno a che fare con la nostra relazione con Dio.
b. Saper desiderare
Dopo tali fatti, questa parola del Signore fu rivolta ad Abram in visione: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande». Rispose Abram: «Mio Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Eliezer di Damasco». Soggiunse Abram: «Ecco a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede». Ed ecco gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non costui sarà il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede». Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.
(Genesi 15,1-21)
In un momento di crisi, ad Abramo sembrava che Dio non sta realmente concretizzando la sua promessa di dargli una discendenza e lamenta che il suo discendente sarà un suo domestico, Eliezer.
Abramo ha colto l’intuizione della promessa, ci si è giocato la vita dando seguito a scelte concrete di cambiamento, ma al momento manca ancora qualcosa di essenziale perché possa davvero realizzare avere una terra e una discendenza. Cosa gli manchi si evince da come Dio gli risponde: “Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle”.
Abramo è invitato ad entrare in contratto con il cielo, che è sicuramente luogo di Dio e – oggi diremmo – della trascendenza, ma anche di più. Abramo è stato invitato ad assumere un comportamento che vuole evocare un cambiamento di atteggiamento interiore: è uscito dalla sicurezza della sua tenda per poter alzare lo sguardo e, così, vedere le stelle. Ovidio dice che questo è l’uomo: anthropos significa “colui che alza lo sguardo verso l’alto”. Dal punto di vista antropologico, qui Abramo cambia atteggiamento e dalla miopia di un ego ripiegato sui suoi bisogni, diventati pretese che fondano le sue lamentele, impara ad alzare lo sguardo per guardare lontano e lasciarsi attrarre dalla meraviglia delle stelle: Abramo sta prendendo contatto proprio con il desiderio. Etimologicamente, infatti, la parola “desiderio” non descrive altro che il movimento delle stelle (sidera) che scendono (de).
In poche parole, come per Abramo così anche per noi, se vogliamo realizzare il progetto della nostra vita, non possiamo trascurare di mantenere il contatto col nostro desiderio. In effetti, se ci pensiamo bene, ogni speranza porta con sé una promessa percepita in forma di desiderio: solo se manteniamo il contatto con il desiderio possiamo protenderci verso il compimento della promessa.
c. La maturità
Non ti chiamerai più Abram
ma ti chiamerai Abraham
perché padre di una moltitudine
di popoli ti renderò.(Gn 17,5)
Proprio aprendosi al desiderio Abramo fa un cambiamento fondamentale che lo abilita a passare dalla promessa al compimento. Siccome il nome nella bibbia dà espressione all’identità della persona, il cambio del nome che Dio opera per lui significa proprio dare ufficializzazione a questo cambiamento della personalità di Abramo, che da Abram diventa Abraham: sembra un cambiamento quasi irrilevante, ma in questa aggiunta minima, di una semplice lettera ebraica, si nasconde un cambiamento abissale. Abram significa infatti “padre alto”, descrivendo quindi una caratteristica personale di Abramo, mentre Abraham significa padre di una moltitudine. Abramo si definisce non più in funzione delle sue caratteristiche personali, ma in base al suo desiderio di generare vita. Il baricentro della sua identità si sposta da se stesso agli altri.
La nostra speranza si compie nella nostra vita quando smettiamo di essere autoreferenziali e cominciamo a coglierci in relazione con il mondo che ci circonda e con gli altri. Realizzare un desiderio non è soddisfare il nostro bisogno, ma uscire da noi stessi per mettere al centro l’oggetto della nostra speranza. Saper sperare significa decentrarsi.
d. Il compimento della promessa: la gioia
È bello vedere che Abramo raggiunge il compimento della sua speranza. Lo stesso nome Isacco, che significa risata di Dio, ne diventa un po’ espressione. Se è vero che Dio ride perché risponde al riso incredulo e cinico di Sara:
Allora Sara rise dentro di sé e disse: «Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!» (Gn 18,12),
allo stesso tempo è la stessa Sara che ride di gioia al vedere suo figlio Isacco:
Sara disse: «Dio mi ha dato di che ridere; chiunque l’udrà riderà con me» (Gn 21,6).
Prima ridevano di Sara, ora tutti ridono con Sara. Isacco è il motivo di questo ridere di gioia. Isacco è la gioia di Dio che viene condivisa con Abramo e Sara e, attraverso di loro, a tutti noi.
È proprio così: quando una speranza si compie, realizza il desiderio che essa porta con sé e questa è fonte di una vera gioia inclusiva. Se perdiamo il desiderio, perdiamo la possibilità di sperimentare la gioia.
e. La speranza inizia quando lasci andare
Quando la speranza è stata raggiunta e sembra finalmente tutto concluso con un bel happy-ending, ecco che arriva il colpo di scena. Nel caso di Abramo, pensa di aver raggiunto la pienezza della vita, ma proprio in questo momento accade qualcosa che rimette tutto in discussione. Sembra una clamorosa contraddizione di ogni cosa, ma invece a guardare bene…
Ci troviamo qui in una situazione paradossale eppure frequente nella nostra vita. Quando sembrava tutto risolto, troviamo che tutto viene rimesso nuovamente in discussione e non capiamo perché. Sembra di sperimentare un clamoroso non-senso.
A guardare bene accade che Abramo si è così tanto affezionato a quel dono ricevuto, suo figlio, che questi diventa per lui una vera e propria fissazione. Va bene che Isacco rappresenti il compimento delle sue speranze e delle promesse che Dio gli ha fatto, ma Abramo ora si identifica con lui, al punto da non cogliere il confine che distingue le loro due identità. Suo figlio è diventato una sorta di prolungamento del suo essere, come fosse una protesi del suo braccio o qualcosa del genere.
Abramo si è impossessato del dono. Ha confuso il dono e Dio, che è il donatore. Ha fatto di Isacco il suo idolo, ma per certi versi sta andando addirittura oltre e lui stesso si sta facendo dio, scalzando Dio dalla sua vita.
In tutto ciò Isacco si ritrova in una situazione molto particolare. Come può stare un figlio che è chiamato ad essere il prolungamento della realizzazione di suo padre? Isacco è legato a doppio filo con Abramo al punto da non poter essere più se stesso. Lo immaginiamo a questo punto come un ragazzo destinato a non avere una vita sua, nella privazione della libertà d’essere se stesso. In un certo senso, Isacco è già stato sacrificato: sacrificato da Abramo per la realizzazione dei suoi desideri.
Ma qui un dettaglio linguistico ci aiuta a intuire il senso dell’iniziativa così stramba in apparenza, di Dio. In ebraico sacrificio si dice con un termine che vuol dire anche legamento. Potremmo dire che Dio ha chiesto ad Abramo di sacrificare il figlio non certo perché volesse sacrificarlo/legarlo. A pensarci bene, Isacco è già ben legato/sacrificato, purtroppo: è stato legato a doppio filo da Abramo, dovendo oramai vivere per realizzare il sogno del padre. Allora la richiesta di Dio non era mirata a sacrificare Isacco, ma semmai a indurre a Abramo ad effettuare lo slegamento di Isacco:
…Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna.
(Gn 22,9)
Abramo è così chiamato a lasciar andare, a non impossessarsi del dono ricevuto. A sostituire al senso del possesso il senso della gratuità.
È questo il livello di maggior pienezza della vita di una persona, quando essa sa che ha avuto tanto e, tuttavia, sa non dare nulla per scontato e coltivare un senso di gratitudine per quanto ricevuto.
Avere senza possedere, realizzarsi ma senza prevalere, affermarsi senza imporsi, gioire senza dipenderne, amare senza attirare a sé… Il terzo stadio della vita è quello della saggezza: la saggezza di saper custodire la speranza al di là di ogni umana miopia dell’io.
Riferimenti bibliografici
– Andretta A., “Dalla speranza al desiderio, fino alla felicità”.
Da: https://www.gazzettafilosofica.net/2018-1/maggio/dalla-speranza-al-desiderio-fino-alla-felicità/
– Beauchamp P., Cinquanta ritratti biblici, Orizzonti Biblici, Assisi 2004.
– Bultmann R., “Elpís”, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, III.
– Dizionario Etimologico Treccani, “Speranza”.
Da: https://www.treccani.it/vocabolario/speranza/
– Ferrari M., “Una speranza che non delude”.
Da: https://www.cittadellaeditrice.com/munera/una-speranza-che-non-delude/
– Penna R., Perego G., Ravasi G., “Speranza”, in Temi teologici della Bibbia, Cinisello Balsamo (Mi), 2010.
– Ravasi G., “Elpís”: speranza.
Da: https://www.famigliacristiana.it/blogpost/elpis-speranza.aspx
1 Comments
Bellissime parole e splendido tema, caro Nando. Davvero il de-siderio testimonia l’Infinito che c’è in noi e tradisce la nostra origine “divina” . Anche la scienza conferma che siamo frammenti di stelle , perché il nostro corpo contiene atomi di stelle esplose miliardi di anni fa. Piccolo particolare: gli atomi sono praticamente eterni Direi che mai come in questo caso scienza e fede coincidono